diario di fabbrica

liberamente ispirato a “la condizione operaia” di Simone Weil
con Ermelinda Bonifacio

“Quando ci si mette davanti alla macchina bisogna uccidere la propria anima per otto ore al giorno, i propri pensieri, i sentimenti, tutto. Irritati tristi o disgustati che si sia, bisogna inghiottire. Respingere in fondo a se stessi l’irritazione. Tristezza o disgusto: rallenterebbero la cadenza.”

Simone Weil, La condizione operaia

Raccontare il mondo della fabbrica, un’umanità mortificata dal lavoro e dalle sue spietate logiche, con tutta la leggerezza e la gioia di una giovane donna: Simone Weil.

Una sorta di cabaret politico.

Per lavorare in fabbrica bisogna bloccare il corso dei pensieri per dar modo al corpo di farsi macchina, di essere strumento all’opera della produzione. Il corpo per salvaguardarsi deve procedere, quindi, senza rincorrere il pensiero. Tutt’oggi molti lavoratori, anche al di fuori della fabbrica, si trovano nella necessità di non pensare per poter vivere la loro condizione attuale al meglio, per poterla sostenere. Il “non pensare” significa oggi eliminare drammaticamente la categoria del futuro, non volgere più lo sguardo in quella direzione. Si eliminano tutte le aspettative che riguardano il domani affidandosi a una routine meccanica che porta a svegliarsi al mattino, prendere la metropolitana, recarsi al posto di lavoro, eseguire i compiti con dedizione e precisione, come automi.

Constatare la reale condizione di vita operaia, immergersi in quella realtà di abbrutimento intellettuale e fisico spinge un’intellettuale, Simone Weil, nel 1934, a impiegarsi come operaia presso le officine della società elettrica Alsthom (Parigi). Simone è lì per svolgere una ricerca sperimentale e personale sull’oppressione sociale. Ricerca dolorosa ma al contempo segnata da inaspettati e rari momenti di felicità dovuti al sentirsi parte di una comunità. D’altronde è proprio con un sentimento di “profonda gioia” che Simone intraprende il suo lavoro in fabbrica:

“Il mio sogno da circa dieci anni. Forse lei può capire quello che mi aspetto da una simile esperienza[…]. E’ difficile a spiegarsi in una lettera. Questo posso dire: il solo pensarci mi procura una profonda gioia.”

Simone Weil, La condizione operaia

La piéce teatrale ricostruisce una giornata di lavoro in fabbrica di Simon Weil. Una sorta di diario in cui lo spettatore può leggere le considerazioni, tuttora attuali, della Weil sul lavoro e sui lavoratori; percorrere i rapporti di solidarietà che la filosofa intesse con gli operai e quelli talvolta difficili con il caporeparto; osservare il complesso rapporto con il macchinario, avvertito come duro e freddo, respingente.

Simone è la sola che ha un corpo e una voce nella rappresentazione, gli operai e il caporeparto sono ombre senza parola. Tutto l’universo della fabbrica, timbrando il cartellino, ha tolto i panni dell’umano e si è fatto ombra per sopravvivere: può essere molto rischioso, nel concreto, lasciarsi distrarre dalle riflessioni.

Scritto da Rosamaria Vaccaro, il testo su cui si basa il progetto è frutto di un lungo e accorato lavoro di ricerca attorno ad una figura enigmatica e fondante del nostro secolo: Simone Weil.

Militante dell’estrema sinistra rivoluzionaria nel 1934, spinta dall’inderogabile esigenza interiore di conoscere direttamente le peggiori condizioni di vita dei lavoratori, troncò la professione e gli studi puramente teorici per lavorare come operaia alla Renault di Parigi: fu un duro ma per lei entusiasmante inserimento nella vita. Ammalatasi di pleurite, fu costretta a lasciare l’officina, iniziando un periodo cruciale di intimo ripensamento. Nel 1936 partecipò come volontaria repubblicana alla guerra civile spagnola arruolandosi nelle file anarchiche della famosa Colonna Durruti, accettando anche i servizi della cucina; ma in seguito ad una grave ustione a un piede dovette rientrare in Francia. Al 1937 risale la svolta mistica, che si traduce in una fede vissuta con grandissima intensità. Esclusa dall’insegnamento in seguito alle leggi razziali durante il regime di Vichy, fece la contadina fino al 1942, quando si rifugiò con la famiglia negli Stati Uniti dove fu molto vicina ai poveri di Harlem. Poco dopo, però, richiamata dall’impegno contro il totalitarismo, tornò in Europa ma nel 1943 morì a soli 34 anni nel sanatorio di Ashford in Inghilterra.

Rosamaria Vaccaro si dedica al periodo biografico di prima rottura col quotidiano che la Weil vive all’età di 25 anni, da cui la produzione letterario-filosofica, pubblicata postuma, che ha rappresentato il fertile terreno per la nascita del testo del presente progetto.

Nasce così un lavoro drammaturgico che sceglie di “raccontare” la Weil ricostruendo una giornata di lavoro in fabbrica, scandita dagli orari, le mansioni, gli incontri e i ricordi, le riflessioni.

Una sorta di diario.

Un diario in cui lo spettatore può leggere le considerazioni, tuttora attuali, della Weil sul lavoro e sui lavoratori; percorrere i rapporti di solidarietà che la filosofa intesse con gli operai e quelli talvolta difficili con il caporeparto; osservare il complesso rapporto con il macchinario, avvertito come duro e freddo, respingente.

Fondante la tematica del potere e della subalternità, in questo lavoro emerge un’umanità ricca e variegata, palpabile e vicina. Ed è la stessa umanità analizzata da James Taylor ed Henry Ford che la Weil sceglie di incontrare, mescolandosi ad essa sino a confondersi e perdersi.

Il testo è stato ultimato nel gennaio 2008.

Venerdì 10 maggio, ore 21.00