Io, Daniel Blake

locandina del film I Daniel BlakeDaniel Blake è un onesto falegname di 59 anni che deve andare per forza in pensione per un problema al cuore che gli impedisce lavori usuranti. Ma subito si scontra con un Moloch: la burocrazia britannica, ormai kafkiana stando alla rappresentazione offerta dal regista. L’atto d’accusa, esplicito, è contro le riforme sanzionatorie in ambito sociale dei tory.

Il parere del suo medico non vale. Vale invece quello di un’ignota “professionista” (il termine nella versione in originale è ripetuto incessantemente) che nega a Blake il sussidio di disoccupazione obbligandolo a cercare lavoro, a scrivere un curriculum, a frequentare un workshop intimidatorio e ricattatorio su come si scrivono i curriculum.

Blake è frastornato, oppresso, avvilito, da telefonate, conversazioni, situate sempre sul confine labile tra consiglio e intimidazione. Intimidazione per farlo desistere dal rivendicare il diritto a rivendicare diritti. Blake, uomo semplice ma tenace, non si dà per vinto, però non capisce come si usa il mouse di un computer. Per il sistema, per l’ingranaggio senza senso e autoreferenziale, un aspetto gravissimo: Loach punta il suo dito accusatorio anche contro questo.

La nuova economia-burocrazia digitale è totalitaria e pretende che tutti la usino e la sappiano già usare.

Si tratta del paradosso kafkiano di cui si parlava in apertura: Loach effettua la radiografia di una sorta di culto dell’efficienza quasi poliziesco che rende totalmente inefficiente lo stato sociale inteso come sostegno dello stato al cittadino. Ma tutto si aggroviglia per Blake, tra telefonate che non arrivano, ricorsi che non ricevono risposta e incontri che si avvitano, s’impallano come i computer. Un cerchio che pare impossibile da spezzare. Eppure Blake continua a insistere: “Perché non ho altre entrate, non ho pensione e pago ancora la Bedroom tax”, come dice dopo l’ennesima telefonata surreale.

Così Blake lega con Katie, una giovane vicina di casa madre single di due bambini. Il regista, a ottanta anni, dimostra grande precisione insieme a freschezza e agilità nel descrivere i comportamenti ossessivi di uno dei figli di Katie o l’affezionato giovane vicino nero che non crede più alle istituzioni sociali e si arrangia con il contrabbando di scarpe sportive cinesi, figlie di uno sfruttamento ancora più selvaggio.

O ancora il personaggio dell’impiegata pubblica che cerca malamente di aiutare Blake e sul cui volto si legge un vero travaglio interiore. Tutti personaggi degni che si confrontano con l’alienazione. Katie cercherà di fare l’impossibile – fino al punto di colpire la propria dignità – per riuscire a trovare lavoro e quindi a provvedere in qualche modo ai suoi figli. Anche il suo si rivela un problema di burocrazia.

E poi ci sono persone che sembrano volerti aiutare mentre il loro scopo è di inserirti in un nuovo sfruttamento. Questo capita a Katie. E grazie alla sua storia, sommata alle attività del giovane contrabbandiere, forniscono al regista gli spunti per criticare la globalizzazione selvaggia dell’economia e la progressiva implosione dello stato.

Io, Daniel Blake parte da una rappresentazione intima del sociale per arrivare ad accusare due facce della stessa medaglia: la tecnocrazia inumana di Bruxelles e il neoliberismo dei trattati internazionali.

Martedì 28 novembre, ore 21.30