il problema non è la caduta ma l’atterraggio

Torneremo indietro dalla quarantena?

Lo stato neoliberista è il principale responsabile di questa emergenza sanitaria e la sua “apparente incapacità” di prospettarne un’uscita dimostra l’incontrastabile supremazia del calcolo economico, del cinico rapporto tra costi e benefici.
Le politiche economiche dissennate, lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali, la sostanziale indifferenza nei confronti della crisi climatica, le politiche sociali sempre più sperequative e divisive hanno rappresentato il terreno fertile in cui questo virus, e probabilmente quelli a venire, è riuscito ad impiantarsi e prosperare.
Lo scempio fatto da parte dei governi, di ogni colore, che si sono susseguiti in questi decenni (dal sacrificio all’austerity la strada è corta) non ha pari nel resto d’Europa: 37 mld di euro stornati alla sanità negli ultimi 10, con il conseguente rafforzamento delle stutture private da sempre fonte di ricchezza per i papponi della politica e i loro ruffiani (De Lorenzo, Storace, Del Turco, Formigoni…). I posti letto sono appena 2,2 per 1000 abitanti contro una media, già bassissima, di 5 per il resto del continente. Stipendi ridicoli per quegli operatori sanitari oggi cantati come eroi ma a fine mese retribuiti con una miseria, carenza di strutture adeguate e depauperamento progressivo della ricerca.
In questo scenario l’epidemia, il suo incontrastato diffondersi, rivela delle precise responsabiltà da parte di uno Stato che ora risponde vestendo i panni che più ama indossare, quelli del repressore. A colpi di decreti attribuisce all’esercito compiti di pubblica sicurezza, stabilisce pene severissime per gli untori (fino a 21anni se diffondi volontariamente il virus procurando la morte di almeno un’altra persona),impone manu militari uno sbarramento del paese sempre più rigido, chiudendo progressivamente le attività produttive, almeno quelle che Confindustria le consente di chiudere, in un gioco dei ruoli, con la consueta complicità sindacale, che il testo dell’accordo del 14 marzo autodenuncia nel ricorso ad un linguaggio fatto di tempi e modi verbali di un autoritarismo tanto più aggressivo quanto dissonante con il clima di millantata unità nazionale.
Esercito, bio-sorveglianza, clima poliziesco, segregazione forzata, sono le misure che nella narrazione dei media non potevano essere evitate, tanto necessarie da essere accettate dalla maggior parte della popolazione, abituata alla paura, in tutte le sue recenti varianti, e al suo antidoto autoritario. Sciovinismo da balcone e sovranismo della quarantena, nel paese dove hanno pasturato per lunghe stagioni fascioleghisti e bottegai della politica austera, attecchiscono, legittimando le neo pratiche di controllo dei corpi, in una perversione bio politica non più distopica ma attuale.
La nostra attenzione va agli inevitabili strascichi che questi provvedimenti lasceranno, consapevoli che l’emergenza rappresenta la più ghiotta occasione per accelerare processi autoritari e giustificare la progressiva chiusura delle libertà di intervento e partecipazione (le leggi emergenziali degli anni di piombo continuano a essere in vigore). In questo, le misure del governo Conte non si differenziano particolarmente da quelle adottate da Xi Jinping, in una sostanziale equivalenza tra democrazia occidentale e regime capital-comunista.
Assegnare compiti di polizia all’esercito, monitorare le attività delle persone ricorrendo ai dispositivi portatili, imporre la distanza tra gli individui, ricorrere allo spazio fisico per separare e quindi più facilmente reprimere, come in un’aggiornata versione del confino, moltiplicando le odiate mura degli istituti carcerari fino a farle coincidere con quelle domestiche, rappresentano delle misure in grado di modificare, nella loro non eccezionalità, la percezione dei nostri corpi e dello spazio sociale, sbarrando irrimediabilmente qualsiasi velleità di intervenirvi ai fini di una trasformazione.
Gli stati hanno già trasferito la crisi sanitaria sul terreno strategico dell’economia, della bio politica e del controllo sociale, intuendo la grande opportunità a disposizione. Multinazionali e grandi fondi d’investimento hanno già il loro vaccino, e non solo sopravviveranno al virus ma ne usciranno più forti, attraverso nuove fusioni e concentrazioni di potere. Amazon lavora più di prima e ogni pacco consegnato col suo bel logo in vista sembra strizzare l’occhio a tutte le saracinesche abbassate, e, mentre Cupertino chiude, le fabbriche cinesi di iPhone già sfornano nuovi costosissimi modelli. Di questa crisi dell’economia reale, la prima dopo quella petrolifera del 70, pagheremo noi i costi i termini sociali, con un ulteriore ampliamento delle disuguaglianze e con il pervasivo innalzamento del controllo, che potrà ora contare su strumenti tecnologici e legislativi nuovi e più efficienti.
Quando il terrore del contagio sarà finito e la quarantena un ricordo, nella speranza che tornino negli armadi ad ammuffire tricolori e musicassette di Toto Cotugno, ci renderemo conto della durezza dell’impatto sulla superficie di un Potere ramificato e in piena salute, ma mai immune a quel virus della libertà della cui diffusione dovrà farsi carico ciò che resta dell’opposizione e dell’antagonismo sociale.
Circa l’occasione rappresentata dal virus riguardo un probabile salto qualitativo e quantitativo dei sistemi di controllo e sorveglianza io tenderei a smontare la classica obiezione “io non ho nulla da nascondere” evidenziando che in realtà Governo e Multinazionali sono solo marginalmente interessati ad eventuali comportamenti devianti o criminali, ciò che realmente ha valore sono abitudini cui noi non diamo alcuna rilevanza.
Ad esempio un’Assicurazione del ramo RC sarà molto interessata al nostro stile di guida, alla frequenza e orario dei nostri spostamenti, ai chilometri percorsi.
Un’assicurazione sanitaria, in ragione di una sempre maggiore privatizzazione della sanità, o del ramo vita, sarà molto interessata alle nostre abitudini quotidiane, alla nostra propensione alla spesa per lo sport o l’alimentazione, al nostro stile di vita in generale.
Così come le aziende in fase di assunzione saranno interessate al nostro stato di salute.
Inutile nascondersi dietro la pretesa segretezza delle informazioni raccolte, sappiamo tutti che una volta implementato un database questo può essere hackerato o semplicemente acquisito tramite corruzione.
Per non parlare della messe di informazioni e dati che riempiranno il piatto grazie al 5G, che renderà ogni elettrodomestico o dispositivo una potenziale fonte di raccolta dati.
Ecco, vorrei far capire in poche parole, che quando si parla di controllo la posta in gioco non sono i nostri comportamenti criminali, ma i nostri comportamenti tout court.

Finirà mai la quarantena?

Che i decreti emanati tra febbraio e marzo 2020 siano incostituzionali è indiscutibile poichè, legiferando sulla distanza da interporre fra le persone, sulla modalità del contatto fisico fra esse e sulla limitazione degli spostamenti sul territorio, sono in aperta violazione della Costituzione. Ma ciò, si potrebbe dire, è motivato dall’emergenza momentanea.
Il problema è, se mai dovesse terminare l’emergenza, che ne sarà del presunto Stato di diritto? Si riuscirà a tornare indietro ora che l’opinione pubblica ha totalmente accettato che si possa legiferare sul proprio corpo?
Infatti dalle Leggi speciali degli anni ’70 non si è più tornati indietro, ma sono ancora in vigore. Ciò che sembra evidente è che non si sta solo combattendo il coronavirus. Si stanno anche difendendo gli interessi del capitale, sia lasciando aperte le fabbriche che contenendo la spesa sanitaria. All’inizio si è provato a gestire la paura con il razzismo verso i cinesi, ma poi esso si è rivoltato contro gli italiani stessi. Dopo di che si è proceduto coi decreti. In pochi hanno provato a mettere in discussione le disastrose condizioni igieniche degli spazi urbani, o segnalato i drammatici tagli che la sanità pubblica ha subito e che sono la vera causa della carenza di posti. Infine, quasi nessuno ha attaccato il cuore della questione ovvero l’inquinamento ambientale e il modello delle magalopoli sovraffollate in cui questo virus (come altri) è nato. Verso tali obiettivi si potrebbe rivolgere la rabbia collettiva e misure poltiche altrettanto drastiche di quelle adottate e che forse avrebbero dato risultati più duraturi, dato che il problema di fondo sta nella crisi ecologica che viviamo, come il riscaldamento globale e l’innalzamento dei mari.
Si è preferito optare per un controllo totale del corpo sociale che fa ricadere solo su di esso la lotta al virus, rivelando un certo progetto politico.
Chi ha provato a manifestare dissenso verso alcuni aspetti, come il sistema carcerario che ammassa persone, in genere poveri e stranieri, esponendoli al contagio, è stato già denunciato o arrestato in base alle esigenze sanitarie dei suddetti decreti.
Questa coesistenza di igienizzazione e politica era già stata sottolineata da più parti, come, la simultanea apparizione in quartieri come S. Lorenzo o il Pigneto delle onnipresenti camionette militari e di quelle della “nettezza urbana”.
Insomma, è lecito sospettare che questa crisi, a cui potrebbe aggiungersi quella economica, potrebbe portare a un cambiamento radicale nel nostro modo di vivere e delle libertà conquistate con grande fatica.
Vivremo in una società in quarantena?